di Stefania Limiti
Cosimo Virgiglio - Parla il pentito dei processi Gotha e Breakfast in Calabria, già uomo del Sisde: “Consegnai gli elenchi dei massoni: scomparsi”
Era il braccio destro di Giacomo Maria Ugolini, potentissimo massone ma quando questi muore, nel 2006, Cosimo Virgiglio, detto Mino, nato a Rosarno (Reggio Calabria), chiede protezione alla cosca calabrese dei Molè. E lì cominciano i suoi guai. Oggi 52enne, uno dei più credibili collaboratori della Procura di Reggio Calabria, Virgiglio è stato arrestato nel 2009 in un lussuoso albergo con due ristoranti a Monte Porzio Catone, a pochi chilometri da Roma, dove sono finiti parte dei proventi delle attività illecite gestite nel porto di Gioia Tauro. Personaggio assai particolare, che Il Fatto incontra a Firenze, Mino incrocia diversi mondi e lasciarlo parlare (“non posso spingermi troppo oltre, i magistrati stanno indagando”) dà un’idea di come funzioni quel lato del potere che non si vede ma c’è.
Cosimo è un massone, “tegolato” (nel gergo della fratellanza significa sondato, testato, osservato) per mesi quando è studente universitario a Messina. Fa il salto tra la fine degli anni 80 e l’inizio dei ’90: “Lascio la vita profana, nella nostra visione si dice proprio morire, e abbraccio la fratellanza. Mi sono avvicinato alla massoneria tramite il nobile messinese Carmelo Ugo Aguglia. Iniziai a frequentare il Rotary, trampolino di lancio per il Goi (Grande Oriente d’Italia, ndr). Il tempio di Messina si trovava nella zona del Papardo. Fra gli altri frequentatori di questi ambienti massonici ricordo Franco Sensi,presidente dell’As Roma. Eravamo potenti. Quando il magistrato di Palmi, Agostino Cordova, avviò la sua inchiesta sulla massoneria ci arrivò la soffiata dall’interno del suo mondo: facemmo in tempo a far sparire un sacco di roba”.
In quel periodo Aguglia lo fa entrare nell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro: “È un sodalizio organico al Vaticano – spiega – che aveva a capo tale monsignor Montezemolo, zio di secondo grado del più noto Luca Cordero. Fu lui a celebrare in Chiesa di Sant’Anna la mia iniziazione. All’interno dell’Ordine c’era anche Elio Matacena”. Mino diventa poi l’uomo di fiducia di Ugolini, ambasciatore di San Marino in Vaticano, proveniente da una delle famiglie fondatrici della Repubblica del Titano. “Ugolini era un uomo in grado di aprire ogni porta in Vaticano, anche le più importanti. Ad esempio, quando cercarono di truffarlo per l’acquisto della villa di Carlo Ponti riuscì a riavere i suoi soldi tramite lo Ior”. Ne parla, in un verbale di sommarie informazioni reso nel 2006 al pm Henry John Woodcock, anche Angelo Balducci, Gentiluomo del Papa ed ex presidente del Consiglio superiore delle Opere pubbliche, in seguito condannato a sei anni e mezzo in primo grado nel processo alla “cricca” degli appalti del G8: il denaro destinato a quell’operazione passò anche per le sue mani. “Ugolini – prosegue Virgiglio – divenne decano di tutti gli ambasciatori del mondo nella città del Papa”. Dopo la scomparsa di Ugolini lei si mette da parte? “Sì, vengo fatto fuori e il suo grande impero di contatti viene ereditato da altri, sicuramente anche da parte di un mondo imprenditoriale che ha a che fare con le produzioni vinicole”.
Cosa significa far parte di una loggia massonica? “Non mi riferisco alla massoneria ufficiale. Lì si svolgono cerimonie, qualche favore, ma le cose grosse avvengono nelle strutture disseminate nel territorio che diventano potentissimi intrecci di potere, controllano ogni movimento e risolvono le controversie”. Lei cosa faceva, quale era il suo ruolo? “Tra le altre cose io mi occupavo del Porto di Gioia Tauro. Quando Franco Sensi decise di investire lì, nel ’95, secondo lei cosa fece? Si rivolse a me che ero Maestro Venerabile”. Naturalmente questa è la versione di Virgiglio, Sensi è scomparso nel 2008 e non è possibile chiedergli conferma.
So che lei dava informazioni ai servizi segreti, perché? “Io sono cresciuto all’ombra dei Servizi. Io dovevo passare tutto ai Servizi che dunque avevano un controllo capillare della nostra zona. Certamente non per intervenire. Non è che un carico di droga di una cosca gli interessasse, ma dovevano saperlo”. E cosa gli interessava? “Di sapere dei loro traffici, soprattutto armi. Quando sono stato arrestato avevo con me due registratori digitali che mi avevano dato al Sisde”. Lei si è pentito subito, è così? “Sì è vero, quei due registratori, però, sono scomparsi insieme agli elenchi dei massoni che mi portavo dietro”. Ma è sicuro? Sta dicendo una cosa grave… “Guardi che non la sto dicendo a lei per la prima volta, è già tutto agli atti delle mie deposizioni alla Procura di Reggio Calabria. Nel 2012 feci anche richiesta ufficiale di restituzione e il Gup ordinò la riconsegna che, però, non avvenne mai. Iniziai immediatamente la mia collaborazione con il Ros, non sono mai stato interno alla ’ndrangheta alla quale chiesi protezione dopo la scomparsa di Ugolini. Avevo tre società e se non chiedevo appoggi alle cosche non avrei potuto lavorare, ormai. Ma quegli elenchi sono spariti, io non lì ho più visti, saranno andati persi per sciatteria…”. I Molè sono una famiglia potente? “Sono stati il braccio armato dei Piromalli, famiglia storica insieme ai Pesce e ai Mancuso. Sono queste tre famiglie che decidono cosa accade a Gioia Tauro”.
Come si incrociano una Loggia massonica e una cosca? “Sono realtà diverse e ben distinte, con le proprie tradizioni e i loro interessi. Io parlerei più che altro di fratellanza, per distinguere una struttura come quella a cui appartenevo io, la Loggia Garibaldi, dalla massoneria delle cerimonie. La fratellanza orienta le persone, scompone e ricompone tutti i pezzi del territorio, la ’ndrangheta ha i suoi traffici ma ha bisogno di strumenti finanziari evoluti, quelli glieli mettono a disposizione i fratelli. In mezzo c’è il consenso politico che viene veicolato da questi due poli”. Lei si riferisce al suo territorio come se non ci fossero cerchi decisionali superiori… “Ci sono eccome ma non voglio dire cose che potrebbero disturbare il lavoro investigativo. C’è in corso il processo contro l’ex ministro e attuale sindaco di Imperia, Claudio Scajola (processo Breakfast: Virgiglio viene ritenuto dai pm un valido strumento dell’accusa secondo cui Scajola ha protetto la latitanza di Amedeo Matacena, ndr). Scajola è un personaggio che Ugolini si poteva permettere di lasciare fuori dalla porta, di fargli fare anticamera, anche se oggi è molto protetto… Però posso dire che nel 1993, quando in Italia c’era il caos, ci fu un importante incontro della massoneria internazionale a Santiago di Capo Verde. Ne sono a conoscenza perché c’era Ugolini, fu lui a raccontarmelo. C’era anche l’ambasciatore nicaraguense Robelo (Alvaro, noto in altre inchieste, molto attivo in tutta la penisola italiana, venne segnalato a Giovanni Falcone sin dal 1987 con una relazione sull’Osj, Sovereign Hospitallers Order of Saint John of Jerusalem, una sorta di Cavalieri di Malta deviati che venivano impiegati per riciclare denaro grazie al tipo di organizzazione di cui si erano dotati: ambasciatori, sedi diplomatiche, passaporti, indennità di valigetta, ndr) La preoccupazione dei convenuti – prosegue Virgiglio – era il nostro Paese, la necessità di mettere un po’ d’ordine e di superare le stragi. Decisero lì di liquidare Cosa Nostra, troppo compromessa con il vecchio mondo, aprendo la strada alla mafia calabrese. Penso di poter dire che i fratelli Graviano se li vendettero i De Stefano”. Ma chi altri partecipò a quel consesso? “Lei fa veramente troppe domande, aspetti e vedrà…”.
Mentre mi congeda Virgiglio intravede un amico: “È un fratello di una importante banca”. Perché fratelli si resta a vita.
Tratto da: ilfattoquotidiano.it
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