Dieci anni dopo il tracollo della Lehman Brothers la dittatura finanziaria ha impoverito tutti...

Dieci anni dopo il tracollo della Lehman Brothers la dittatura finanziaria ha impoverito tutti. Dobbiamo riscattare la civiltà che mette al centro la persona e non la moneta

Cari amici, dieci anni fa nella notte tra il 14 e il 15 settembre del 2008 fallì la banca d’affari americana Lehman Brothers, dedita essenzialmente ad attività di natura speculativa, che aveva accumulato debiti per 613 miliardi di dollari, pari a circa la metà del debito pubblico dell’Italia. 
Fu l’inizio di una crisi a catena di banche e imprese, che fino al 2011 costò ai cittadini americani 7.700 miliardi di dollari, pari al doppio del costo affrontato dagli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale, circa 4 mila miliardi di dollari a valori odierni. Nello stesso periodo la crisi che aveva coinvolto anche banche e imprese europee, costò ai cittadini dell'Unione Europea 2 mila miliardi di dollari. Contemporaneamente 30 milioni di persone nel mondo persero il posto di lavoro.
I popoli possono essere sottomessi o con i carri armati o con il debito. Il tracollo della Lehman Brothers è di fatto uno spartiacque nella storia finanziaria, economica e politica, paragonabile all’11 settembre 2001 sul piano della sicurezza e delle relazioni internazionali. Ecco perché è corretto parlare di guerra mondiale di natura finanziaria. È una guerra non dichiarata ma reale, prevalentemente virtuale ma comunque violenta, non convenzionale ma strategica, graduale ma letale. Provoca più morti interiori che morti fisiche, come si ci attenderebbe dalla più evoluta bomba “pulita” al neutrone, che uccide la vita e fa sopravvivere la materia. Questa inedita guerra mondiale accresce la povertà tra la popolazione, distrugge l’economia reale, scardina gli stati nazionali, fa venir meno la democrazia e lo stato di diritto, sconquassa il modello sociale e porta alla denatalità aggredendo l’istituto della famiglia naturale, distrugge il sistema di valori diffondendo il relativismo, favorisce l’invasione di clandestini e sollecita l’occupazione islamica. Sul banco degli imputati ci sono la dittatura della finanza speculativa globalizzata, dell’Eurocrazia, dello Stato-Mafia, della Chiesa relativista di Papa Francesco, dell’islam cosiddetto moderato, nel cui seno primeggiano i Fratelli Musulmani, e che inesorabilmente scatena il terrorismo islamico. Sembra apparentemente una “ammucchiata” di cinici criminali o di pazzi votati al suicidio che perseguono l’assoggettamento dell’intera umanità dopo averla “cosificata”, riducendo la persona a semplice strumento di produzione e di consumo della materialità. Ma a quei livelli nulla accade per caso. La Storia potrebbe confermare che si tratta piuttosto di una “Cupola” che realizza in modo deliberato una strategia criminale, una sorta di Massoneria mondiale che opera al di sopra di tutti e contro tutti.
La dittatura della finanza speculativa globalizzata utilizza l’arma del debito per devastare l’economia reale e sottometterla alla dimensione virtuale della moneta. Si tratta di una strategia deliberata utile a riciclare una massa di denaro virtuale, a partire dai titoli derivati che erano pari a 787 mila miliardi di dollari nel 2011, pari a circa 12 volte il Pil mondiale (Prodotto Interno Lordo, 66 mila miliardi di dollari nel 2011), condizionando e imponendo il proprio potere politico.
Stiamo subendo un crimine epocale: l’Italia ricca si sta trasformando in italiani poveri. L’Italia vive la più tragica crisi economica recessiva dalla Seconda guerra mondiale. Gli italiani si impoveriscono sempre più, crescono inesorabilmente i disoccupati, i giovani non hanno accesso al mercato del lavoro e siamo sprofondati agli ultimissimi posti al mondo per tasso di natalità.
La dittatura finanziaria comporta l’uccisione delle micro e piccole imprese per costringerle a farsi fagocitare dalle grandi imprese, negando loro l’accesso al credito necessario per produrre e crescere, finendo per ritrovarsi senza denaro per pagare i debiti nei confronti dello Stato (tasse) e dei privati (fornitori e dipendenti), pur essendo imprese sane, con prodotti d’eccellenza e mercati interessati. Le micro, piccole e medie imprese, che costituiscono il 99% del nostro sistema produttivo, sono paradossalmente condannate a morte non perché debitrici ma perché creditrici in un contesto dove il principale debitore insolvente è lo Stato. La massa monetaria in circolazione, che al 95% è costituito da denaro virtuale creato dalle banche dal nulla a costo zero, si riduce sempre più rallentando il circuito della produzione e del consumo. 
Si è pervertito il rapporto tra la ricchezza e la moneta. Anziché essere la moneta un semplice strumento che parametra il valore della ricchezza, la quale si sostanzia di beni e di servizi che si posseggono o si producono, la moneta è diventata essa stessa la ricchezza. Quindi si è ricchi solo se si possiede la moneta anche se frutto della speculazione finanziaria in borsa, mentre si può anche morire di fame pur possedendo e producendo beni e servizi reali, ma senza disporre di una quantità di moneta adeguata alle proprie incombenze nei confronti dello Stato, delle banche e dei privati.

Cari amici, dieci dopo il tracollo della Lehman Brothers la situazione generale è peggiorata. Stanno peggio i cittadini, le famiglie, le imprese, le istituzioni pubbliche e le banche stesse. La dittatura finanziaria non risparmia nessuno, si ritorce anche contro se stessa. È un vero e proprio suicidio. Dobbiamo denunciare questo crimine epocale, mobilitarci per liberarci dalla dittatura finanziaria, riscattare la nostra sovranità monetaria. Dobbiamo salvaguardare una civiltà che metta al centro la persona anziché la moneta, l’economia reale anziché la finanza speculativa, la micro-dimensione della comunità locale anziché la macro-dimensione della globalizzazione. Non si tratta affatto di rifiutare l’apertura al mondo circostante, ma di aprirci da una posizione di forza e non di debolezza, per continuare ad essere pienamente noi stessi e non essere fagocitati e sottomessi. Andiamo avanti. Insieme ce la faremo.

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