Il colosso dell’IRI viene svenduto, pezzo per pezzo, passando gradualmente da circa 500.000 dipendenti ai 108.970 del 1999, alla definitiva messa in liquidazione del 30/6/2000
I gioielli dello Stato vengono svenduti con una facilità ed una leggerezza incredibili;
chi li vende ha una grandissima possibilità:
ridisegnare, ai danni dello Stato, il capitalismo italiano
Oggi rimangono dello Stato la Rai, l’Alitalia, e piccole quote di altre aziende
Il ’92 è l’anno della svolta, ma è nel 1993-94, con Prodi nuovamente all’IRI, che vengono vendute ben due Bin, il Credito Italiano (Credit), una vera e propria tigre, e la Banca Commerciale Italiana (Comit), oltre all’IMI(tutto tra il dicembre 1993 e il febbraio 1994, con una velocità straordinaria)
Nello stesso periodo di fuoco vengono vendute le finanziarie Italgel e Cirio-Bertolli-De Rica;
per quanto riguarda il settore agroalimentare, un settore tradizionalmente importante per la nostra economia, Mauro Bottareli ricorda chedopo il ’92 lo Stato vendette agli stranieri, specie inglesi e americani: Locatelli, Invernizzi, Buitoni, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Fini, Perugina, Mira Lanza e tante altre
Tra il ’93 e il ’94 viene venduta la SME, le vetrerie Siv dell’Efim, il Nuovo Pignone dell’Eni…
Nel 1994 vengono venduti Acciai Speciali Terni;
nel 1995 Ilva Laminati Piani e Italimpianti;
nel 1996 Dalmine…
(M.Cataldo, op.cit.)
Nei processi di Mani Pulite di tutto ciò non vi è traccia, a parte un interrogatorio di Di Pietro a Prodi, nel luglio 1993, durante il quale al professore bolognese viene chiesto con veemenza a quali partiti il suo Istituto abbia dato soldi
Ma poi non succede più nulla
Viene invece processato e condannato Franco Nobili, entrato all’Iri nel dicembre 1989, dopo sette anni di gestione Prodi:
finisce in carcere, poi agli gli arresti domiciliari, perché un suo dirigente s’era sentito silenziosamente autorizzato a pagare una tangente postuma
Eppure, durante la sua breve gestione, all’Iri non succede pressochè nulla di rilevante!
Successivamente il nuovo boom di vendite è proprio quando Prodi passa dalla Presidenza dell’IRI all’improvvisa notorietà al grande pubblico e alla Presidenza del Consiglio:
la tattica è già stata studiata: bisogna vendere
“Smonterò il paese pezzo per pezzo”, dichiara il 17 gennaio 1998, in un celebre discorso in provincia di Lecce
Detto, fatto:
“gli anni più ricchi delle privatizzazioni italiane sono state il ’97 e il ’98 quando gli incassi superarono i 20 miliardi di euro” (Corriere della sera, 5/12/2003). Da grande manager, dietro le quinte, a capo del governo, la politica di Romano è sempre quella:
prima gli fruttava “solo” relazioni e contatti importanti, in seguito gli permetterà di continuare su questa strada e di abbassare il rapporto tra debito pubblico e Pil, presentandosi come il grande economista, in realtà a spese dello Stato
La copertura mediatica è data dai grandi giornali, di Agnelli e De Benedetti, che urlano alla necessità di modernizzare il paese, privatizzando
Si assiste al paradosso che la destra, sempre accusata dalla sinistra, demagogicamente, di essere seguace di un “liberismo selvaggio”, è ora rimproverata di essere statalista e di ignorare non solo la Thatcher ma anche Adam Smith
E’ Massimo Giannini, sulla prima de la Repubblica di De Benedetti, a sostenerlo, in un articolo dove, tra l’altro, scrive: “In fondo la sinistra di governo è obbligata dalla globalizzazione a fare dell’efficienza, del mercato, delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni il nucleo duro del suo riformismo…
La vera anomalia è la destra…
La cultura di mercato, per la destra, è un puro gadget, un ‘usa e getta’ elettorale
Quando il Polo ha governato nel ’94, non una sola azienda pubblica è stata alienata
Il cavaliere-premier arrivò al punto di raccontare una balla in diretta TV:
‘Non cederemo la Stet, nemmeno la Thatcher ha privatizzato le telecomunicazioni’
Peccato che proprio la vendita di British Telecom sia stato il fiore all’occhiello della Signora Maggie” (la Repubblica 17/11/’98)
Nel 1999 il Tesoro decide di privatizzare il monopolista elettrico Enel;
lo stesso anno si chiude con la cessione da parte dell’IRI di Autostrade:
il 30% va alla Edizione Holding dei Benetton
(Corriere della Sera, 5/12/2003).
Coi governi dell’Ulivo la liberalizzazione è talmente selvaggia, che le USL, Unità sanitarie locali, divengono ASL, e cioè aziende;
che i presidi delle scuole divengono manager;
che si diffonde come non mai il lavoro interinale e vengono creati i cosiddetti co.co.co;
soprattutto,
per dire la più divertente,
quando il patrimonio statale non è più disponibile per essere venduto, viene liberalizzato il gioco d’azzardo
Pur di fare soldi, infatti, ci si getta in un affare poco nobile:
la creazione delle sale Bingo
Sono oltre 400, create nel 2001, e garantiscono introiti immensi
Sentiamo casa scrive il quotidiano cattolico “Avvenire”( 1/7/2001):
“mai visti tanti uomini vicini ai DS davanti alle cartelle del Bingo
La metà delle sale pronte ad aprire saranno gestite da chi è in qualche modo legato alla Quercia
Duecentododici sale su quattrocentoquindici
Più della metà
Un business che va dai settanta ai centocinquanta miliardi l’anno per sala
Difficile resistere
I ‘D’Alema boys’ hanno fatto tombola prima ancora che si cominciasse a giocare
Hanno fondato una società, la Formula Bingo, e fatto il lavoro migliore
I frutti si sono visti
Già,
ma perché D’Alema boys?
A loro il nome non piace
Ma come sanno tutti nessuno può sceglierselo
Sta di fatto che lo staff di Formula Bingo vede alla vicepresidenza Luciano Consoli (militante PCI sezione Trastevere) e nessuno può negare che sia un amico dell’ex presidente del Consiglio diessino
Così come non passa inosservata la sede della società: Via San Nicola de Cesarini al 3, Roma. Nello stesso palazzo dove si trovano gli uffici di ‘Italianieuropei’, la fondazione creata da D’Alema…”
Mesi prima, il 20/1/2001, sempre Avvenire specificava che Formula Bingo “è posseduta per metà da una banca, la London Court, a sua volta guidata da un vecchio amico di D’Alema, Roberto De Santis
Così amico che è stato lui a cedere al leader diessino la fin troppo nota barca Ikarus
Ma la London Court ha un altro azionista al 50%, la Chance Mode Italia, il cui patrono è un altro amico di d’Alema, Luciano Consoli…”
L’accusa arriva anche da sinistra Marco Travaglio, autore di libri anti Berlusconi e giornalista de l’Unità, durante un raduno ad una convention girotondina,
parlando del governo D’Alema si lascia scappare una frase piuttosto imbarazzante: “Quelli sono entrati a Palazzo Chigi con le pezze al culo, e ne sono riusciti ricchi”
Perché queste accuse?
Per la missione Arcobaleno, i rapporti con Colaninno, l’inchiesta sulla Banca del Salento, e i “D’Alema boys”, “imputati di improvvisa fama e ricchezza”(Corriere della Sera, 16/1/2004)
Pronta la replica degli interessati: D’Alema annuncia una querela…forse…
Pasquale Cascella, ex portavoce di D’Alema, lamenta
“la cultura politica e giornalistica che esprime Travaglio”,
dimenticando che è quella che ne ha fatto un eroe della sinistra anti-berlusconiana,
e un suo collega all’Unità!
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