Ecco i risultati della globalizzazione! In Europa governi in crisi e piazze in fiamme

L’immagine che arriva in queste settimane dai diversi angoli d’Europa non è certamente delle più edificanti. Non c’è un Paese dell’Unione europea che possa dirsi al sicuro da una crisi di governo o da proteste di massa. E da Est a Ovest, le piazze si infiammano e i governi appaiono sempre più fragili. Incapaci di portare avanti la propria agenda e soprattutto pericolosamente inclini a crisi sistemiche e da cui non appaiono mai capaci di uscirne rafforzati.

Le immagini di quanto avvenuto in Albania sono state molto forti. La sede del governo, presa d’assalto nella giornata di sabato, è stato un segnale inequivocabile di quanto il malcontento in Europa stia diventando sempre più violento, feroce. Ma è soprattutto un senso di sfiducia che è sempre più incapace di rimanere incardinato nelle logiche della democrazia liberale. Le strade di Tirana invase da decine di migliaia di manifestanti sono molto simili a quelle che hanno caratterizzato Parigi, ad esempio. I quartieri del centro di Parigi, in questi mesi, sono apparsi non troppo diversi dalle vie della capitale albanese. E i metodi delle proteste sono talmente simili che sembra essersi creato un curioso (e pericoloso) trait d’union fra Paesi e aeree d’Europa che apparivano decisamente distanti sia nei metodi politici che nella cultura democratica.

E invece, l’Europa sta cambiando e sta diventando sempre più evidente questa sorta di unità d’intenti delle popolazioni europee, che hanno intrapreso una strada di rottura e di protesta contro qualsiasi governi e qualsiasi establishment. E queste élite verso cui si rivolge la violenza dei dimostranti sembrano totalmente paralizzate, quasi tramortite da una violenza pura e che ha preso totalmente alla sprovvista le cancelliere d’Europa. 


A questa violenza, si contrappone una classe dirigente totalmente incapace di reagire e senza alcuna forza. E i governi iniziano a cadere, come tessere di un domino che sembra non avere fine. Lo ha fatto la Spagna, in cui Pedro Sanchez si è dovuto piegare non solo al voto del Parlamento, ma anche a una piazza che ha dimostrato di non volere più il leader socialista alla guida della Spagna.

Mentre chi non cade, vacilla o rimane in una sorta di lenta agonia, quasi in attesa di un evento (probabilmente le europee) o della fine della legislatura. L’esempio del Regno Unito, in questo caso, è lampante. La Brexit ha lasciato Theresa May priva di qualsiasi tipo di credibilità internazionale per condurre in porto l’uscita di Londra dall’Unione europea. Ma ha anche dimostrato come, a livello interno, le divisioni iniziano a essere enormi. L’Irlanda del Nord è il terreno di scontro di un Regno che appare sempre più disunito. E il rischio che anche in Gran Bretagna tornino ad animarsi violenze e pericoli per la tenuta del sistema politico britannico.

La paralisi è totale. E colpisce anche l’Unione europea. E questa situazione, come scritto sull’Huffington Post, “fa paura perché chi è pagato a Bruxelles come a Strasburgo per trovare risposte immediate e non tecniche a queste istanze già pensa solo alle prossime consultazioni, come se il 2019 fosse un anno qualsiasi e non l’anno della rabbia che tutto travolge, compresi i soliti gattopardi delle europoltrone”. Ed è proprio questa incapacità di reagire da parte di Bruxelles e dei suoi leader più ottimisti (Emmanuel Macron e Angela Merkel in primis) a essere uno dei grandi problemi di questa Europa. I popoli si stanno ribellando ed esprimono in maniera sempre più violenta le proprie istanze.


Ma di fronte a questo grido di disperazione feroce delle popolazioni del Vecchio Continente, la reazione o è tiepida o tramortita. Nessuno sa come rispondere. Si continua a presentare ricette fallimentari, si parla di numeri, di bilanci, di austerity. Ma di fronte a questa violenza e questa frustrazione espressa nelle diverse capitale dell’Ue, nessuno sa come reagire. Se non attaccando quei partiti che rappresentano forse l’unica vera alternativa alla violenza: quei movimenti tacciati di populismo ma che di fatto rappresentano l’unico argine, almeno attualmente, all’esplodere delle violenze. L’Italia, in questo caso, insegna. 

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