Quattro illustri costituzionalisti smentiscono il governo: “La Costituzione non consente l’invio di armi in Ucraina”

07/06/2022 - di Il Paragone – Il presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, è tornato a parlare in pubblico
in merito alla guerra in Ucraina, all’invio di armi a Kiev ed, nondimeno, ai profili giuridici delle scelte operate dal Governo italiano. Non c’è bisogno di dire che, secondo il massimo esponente della Consulta, tutto ciò che Draghi & co stanno facendo è perfettamente legittimo. In verità, ci saremmo stupiti del contrario. Eppure non tutti gli esperti di Costituzione sono d’accordo con lui, anzi, tutt’altro.

L’interpretazione di Giuliano Amato sull’invio di armi

Andiamo al sodo, secondo Amato: «Per l’articolo 11 l’Italia ripudia la guerra come mezzo per risolvere le controversie, ma non la ripudia in assoluto. La Costituzione prevede il sacro dovere di difendere la patria.

E poi ci sono i vincoli assunti in sede europea e internazionale: il dovere alla solidarietà verso i membri dell’Unione europea aggrediti da altri e la clausola di solidarietà tra i Paesi membri della Nato». Dunque, nihil sub sole novum: l’Ucraina deve essere aiutata con le armi (pur non essendo membro né dell’Ue né dell’Alleanza atlantica), soprattutto in virtù del principio della “solidarietà umana”.

L’interpretazione di Michele Ainis

Il Fatto Quotidiano, nell’edizione odierna, ha discusso l’interpretazione di Amato con quattro tra i più autorevoli giuristi italiani. Dal confronto sono emersi, però, alcuni aspetti critici. Secondo Michele Ainis «una condizione di cobelligeranza – come è di fatto quella dell’Italia che rifornisce di armi

un paese in guerra – difficilmente può essere coperta dall’ombrello dell’articolo 11, soprattutto se si vuole interpretare lo spirito e la mentalità dei costituenti che hanno scritto quella norma”.


Ma non è tutto. Ainis entra ancora più nello specifico, analizzando alcuni tecnicismi: «Credo che le letture evolutive dell’articolo 11 siano lecite, ma deformanti. Amato dice la nostra non è una Costituzione pacifista: è vero, la guerra è disciplinata in 6 norme costituzionali e la Carta ammette la guerra difensiva. Ma l’equivoco è sul perimetro di questa guerra difensiva. Evidentemente i costituenti si riferivano a una guerra condotta sul territorio italiano contro un aggressore esterno. L’idea che invece si possa giustificare l’intervento italiano in un conflitto tra altri due contendenti non regge: a quel punto, se intervenissimo ogni volta che uno Stato ne aggredisce un altro, dovremmo entrare in guerra con mezzo mondo. Per le norme costituzionali, l’unica difesa legittima è quella del territorio e della popolazione italiana».

L’interpretazione di Lorenza Carlassare

Anche Lorenza Carlassare si trova completamente d’accordo con Ainis, e perentoriamente sostiene che «L’articolo 11 impedisce il commercio di armi con paesi in guerra. La guerra difensiva è contemplata, sì, ma esclusiva mente in difesa del proprio territorio, non dei territori altrui in giro per la terra. Altrimenti dovremmo partecipare ai conflitti in tutto il mondo. L’articolo 11 è uno dei meno rispettati della nostra Costituzione, lo spirito dei costituenti è stato tradito».

L’interpretazione di Gaetano Azzariti

Gaetano Azzariti, invece, affronta la questione da un’altra prospettiva. Secondo il giurista «la vera domanda che io mi porrei è se inviare la armi all’Ucraina possa essere lo strumento per raggiungere il fine costituzionale del ripudio della guerra, così come prescritto dall’articolo 11». Ma i fatti, chiaramente, sembrano dimostrare il contrario. «A me pare ovvio che la risposta sia negativa. Bisogna quindi che si affermi la solidarietà internazionale come obiettivo strategico e si ricerchino tutte le vie possibili per un accordo diplomatico. Lo dice il diritto e lo dice anche il Papa».

L’interpretazione di Massimo Villone

Dal canto suo, Massimo Villone fa un po’ la voce fuori dal coro, ponendo comunque alcuni dubbi sull’operato del Governo: «Io non ho mai pensato che la Costituzione italiana fosse pacifista a prescindere, né ritengo che ci sia una preclusione all’invio di armi. Ci sono però due problemi delicati: il primo è la sostanziale emarginazione del Parlamento nelle decisioni su questo punto, che considero inaccettabile. Il secondo è che bisogna porre molta attenzione affinché il diritto di difendersi non si traduca in un diritto di attaccare. L’ aiuto a uno Stato aggredito non deve diventare strumentale a un attacco allo Stato aggressore».


Insomma, il Presidente della Corte Costituzionale non trova molti riscontri sulle sue posizioni, né tra i giuristi, né tra la popolazione, la quale in buona parte si è sempre schierata contro l’invio delle armi, così come fatto dal gruppo politico di Gianluigi Paragone, Italexit, che ormai da settimane porta avanti una raccolta firme su questo tema attraverso i propri banchetti in tutte le maggiori province italiane.

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