Dragonball trascina l'Italia in guerra contro la Russia

21/03/2022 - di Gianni Lannes

Mosca non ha mosso guerra contro Roma. Non il popolo italiano, bensi' l'ineletto governo Draghi e l'inquilino pro tempore del Quirinale Mattarella, hanno invece dichiarato - sia pure senza un pronunciamento formale - guerra alla Russia, in paese violazione dell'articolo 11 della Costituzione repubblicana italiana. Mediante il decreto legge 25 febbraio 2022, numero 14 e il decreto legge 28 febbraio 2022, numero 16, e' stato disposto, in deroga alle normative vigenti - fino al 31 dicembre 2022 - l'invio di armamenti letali e segreti all'Ucraina, nonche' di militari a sostegno della NATO.






Mister Britannia, ovvero il banchiere a capo dell'unico paese europeo con lasciapassare neonazista (Green Pass) - già denunciato dall'associazione "Mille avvocati per la Costituzione" per "eversione dell'ordine costituzionale, associazione sovversiva, illegittimita' dello stato di emergenza, abolizione della liberta' e falsa emergenza sanitaria" - il primo marzo scorso ha dichiarato: «Questa è la posizione italiana, la posizione dell’Unione Europea, la posizione di tutti i nostri alleati. Questa convergenza è anche il frutto di un’intensissima attività diplomatica. Venerdì ho preso parte a un vertice dei Capi di Stato e di Governo della NATO in cui ho ribadito che l’Italia è pronta a fare la propria parte e a mettere a disposizione le forze necessarie. Il giorno successivo, ho avuto un colloquio telefonico con il Presidente ucraino Zelensky, al quale ho confermato il pieno sostegno dell’Italia. Gli ho anticipato la nostra intenzione di aiutare l’Ucraina a difendersi dalla Russia e gli ho ribadito il nostro convinto supporto alla posizione dell’Unione Europea sulle sanzioni. Lunedì pomeriggio, ho partecipato a una videoconferenza – di cui vi dicevo prima – con i leader del G7, della Polonia, della Romania i Presidenti della Commissione Europea e del Consiglio Europeo e con il Segretario Generale della NATO».

Insomma, l'esecutivo Draghi e i politicanti sturmtruppen in salsa tricolore, hanno risposto all’appello del fantoccio a stelle e strisce, tale Zelensky, che aveva chiesto equipaggiamenti, armamenti e veicoli militari per proteggersi dalla cosiddetta aggressione russa, a seguito dello sterminio nel Donbass di ben 22 mila civili di origine russa.




Inoltre, il Governo italiano ha deciso di inviare armamenti in Ucraina senza voto parlamentare e mantenendo segreta la lista delle armi letali inviate nel Paese per contrastare l’invasione russa, stando a quanto affermato dal sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè (ex direttore responsabile del settimanale Panorama nell'era berlusconiana), sarebbero determinati dal fatto di non voler dare vantaggio all’avversario russo. Tale motivazione non spiega in ogni caso l’estromissione dei parlamentari, ma si inserisce in un modo d’agire ormai divenuto la norma per questo Governo, che ha reso la fittizia emergenzialita', addirittura il modus operandi del roprio fallimentare operato.

Il Parlamento è stato nuovamente estromesso dalle decisioni del Governo, e gli onorevoli tricolore non hanno neanche fiatat': questa volta e' toccato alle armi da inviare in Ucraina. La lista del materiale bellico è infatti contenuta all’interno di un decreto interministeriale (definito di concerto dai ministeri della Difesa, degli Esteri e dell’Economia) secretato e non sottoposto all’esame dei parlamentari.

Ma quali sono i motivi di tanta segretezza nei confronti di un organo costituzionale fondamentale come il Parlamento? Secondo quanto affermato dal sottosegretario forzitaliota Mulè, si tratterebbe di una necessità dovuta soprattutto al fatto di non voler dare vantaggio all’avversario rendendo pubblica la lista di armi che verranno messe a disposizione dell’Ucraina. L’insensatezza di questa decisione e' aggravata dal fatto che questa eventualita' concerne l’invio di armamenti letali da guerra.

Aspre critiche sono giunte anche dalla ONG Amnesty International, che in un tweet ha ribadito la necessità di rispettare i principi di trasparenza e non utilizzare indiscriminatamente gli equipaggiamenti che verranno inviati.

In ogni caso, quali sono questi mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari che Roma invierà a Kiev? L’elenco è top secret. Da quanto filtra le spedizioni prevederebbero l’invio di centinaia di missili anticarro e antiaereo Stinger e Spike facilmente trasportabili, mortai, migliaia di mitragliatrici pesanti Browning e leggere MG. Secondo DefenseNews, tra le armi autorizzate dall’Italia inviate a Kiev figurano “missili antiaerei Stinger, mortai e armi anticarro Milan, o Panzerfaust. I media italiani avevano affermato che i missili Spike di fabbricazione israeliana sarebbero stati inclusi nel pacchetto, ma una fonte della difesa ne esclude la possibilità. Israele dovrebbe infatti approvarne l’uso ed è improbabile che lo faccia”. Tra le altre armi della lista italiana c’erano le mitragliatrici pesanti Browning, le mitragliatrici leggere di tipo MG e i sistemi anti-IED. “La spedizione potrebbe essere trasportata in aereo in Romania o Polonia e consegnata oltre il confine con l’Ucraina”, segnala DefenseNews.



“Anche l’Italia, nell’ambito delle decisioni assunte dall’Unione Europea e dopo i previsti passaggi istituzionali nazionali, invierà sistemi d’arma ed altri equipaggiamenti militari in favore delle Forze Armate ucraine” aveva preannunciato il Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, alla riunione in videoconferenza dei ministri della Difesa Ue. Inoltre, il ministro ha espresso apprezzamento per la decisione dell’Ue di supportare la resilienza e la difesa ucraine attraverso lo European Peace Facility e ha concordato anche sull’opportunità di coordinare tutte le attività di sostegno alle Forze Armate ucraine e l’invio di materiale e equipaggiamento militare, in collaborazione con Stati Uniti e Regno Unito.

Dunque, l'Italia, a rigor di logica, prende parte attiva nel conflitto bellico tra Mosca e Kiev. “Alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina e delle notizie che rimbalzano è giusto ringraziare la Difesa per aver ben chiarito quale sarà l’impegno dei nostri militari e che pur facendo parte della Nato non li manderemo a morire” ha precisato in un post il tenente colonnello Gianfranco Paglia, consigliere del ministro della Difesa. “Andranno a rafforzare il contingente Nato per presidiare i paesi limitrofi all’area di crisi che fanno parte del Patto Atlantico, ma in nessun modo i militari italiani sono autorizzati ad entrare in Ucraina, servirebbe un’autorizzazione del parlamento. Spero davvero che ciò aiuti le famiglie dei militari ed eviti inutili allarmismi. La situazione è molto delicata ma non si è sprovveduti nel mettere a rischio vite umane”, ha concluso il consigliere del ministro Guerini.

Il 1° marzo scorso, la Camera e il Senato hanno approvato, a larghissima maggioranza, due risoluzioni gemelle che hanno impegnato il Governo «ad assicurare (…) – tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati – la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione». Anche se le forniture sono state dettagliate in un documento classificato elaborato dallo Stato maggiore della difesa, non pubblicato in Gazzetta Ufficiale, l’elenco includerebbe mortai, lanciatori Stinger, mitragliatrici pesanti Browning, colpi browning, mitragliatrici leggere, lanciatori anticarro e colpi anticarro, oltre a razioni K, radio, elmetti e giubbotti. Una parte delle forniture e' stata gia' trasportata in Polonia, nei pressi della frontiera ucraina, da aerei dell’Aeronautica militare.

La decisione del governo italiano solleva la questione se l’invio di armi letali a una delle parti di un conflitto armato sia compatibile con la Costituzione e, in particolare, con le sue disposizioni a vocazione internazionalistica. Il pensiero va innanzitutto all’articolo 11 Costituzione, che stabilisce: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Comunque non si tratta dell’unico parametro costituzionale rilevante, poiché la Costituzione conferisce un rango gerarchico superiore alla legge tanto al diritto internazionale generale (ex art. 10, comma 1) quanto ai trattati internazionali (ex art. 117, comma 1), entrambe queste categorie di fonti costituiscono, nel nostro ordinamento, un limite all’esercizio del potere esecutivo e di quello legislativo. Ci si trova perciò in un ambito nel quale la legalità costituzionale è strettamente intrecciata con il rispetto del diritto internazionale.

Il ripudio della guerra non è che una espressione del più ampio principio pacifista che ispira l’intero articolo 11 Costituzione. L’ideale della pace è infatti alla base anche della sua seconda parte, secondo la quale l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo». È indiscusso che il principio pacifista abbia un carattere immediatamente vincolante sulle autorità dello Stato. Esso esprime una direttiva generale per gli organi che gestiscono le relazioni internazionali dell’Italia, imponendo loro di «perseguire attivamente una politica pacifista». Inoltre, esso vieta in termini assoluti sia il coinvolgimento dell’Italia in guerre di natura offensiva sia il ricorso alla guerra come mezzo per risolvere controversie internazionali. Ed è convincente la ricostruzione giuridica secondo cui l’articolo 11 proibisce non solo la partecipazione diretta dell’Italia a questi tipi di guerre, ma anche ogni forma di assistenza a Stati che le conducano, il che comporta che il ripudio della guerra si estenda all’assistenza tecnologica, alla consulenza sulle operazioni militari e anche alla fornitura di armi.

E non si puo' giustificare l’invio di armi all’Ucraina scomodando addirittura l'articolo 52 della nostra carta costituzionale. La Patria che il cittadino italiano ha il dovere di difendere non è certo l’Ucraina. Ma la risposta è senza dubbio positiva, perché il concetto di guerra «difensiva» ai fini dell’articolo 11 deve essere definito alla luce delle norme del diritto internazionale che regolano l’uso della forza e, in particolare, l’esercizio della legittima difesa. Nel recente passato, il governo D'Alema ha violato proprio il suddetto articolo 11, autorizzando il bombardamento italiano di Belgrado, senza che la Serbia avesse dichiarato guerra all'Italia. Pertanto, l’interpretazione dell’articolo 11 non puo' essere armonizzata con l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che lascia impregiudicato «il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale».



Quanto detto trova un qualche supporto anche nella legge numero 185 del 9 luglio 1990, che disciplina l’esportazione, l’importazione e il transito dei materiali di armamento. La legge stabilisce un generale divieto di esportazione e transito in casi di «contrasto con la Costituzione, con gli impegni internazionali dell’Italia e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché quando manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali» (articolo 1, comma 5). Il successivo comma 6 vieta poi esportazioni e transito «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere». Ciò suggerisce che sia possibile esportare armamenti verso Paesi che versino in una condizione di conflitto armato nel rispetto (loro malgrado) dell’articolo 51 della Carta, ovvero che stiano esercitando il proprio diritto di legittima difesa.

Altri problemi sorgono relativamente alla disciplina della neutralità, ovvero quelle norme di diritto internazionale classico che, nel corso di un conflitto armato, regolano i rapporti tra Stati belligeranti e Stati non coinvolti nel conflitto. Tradizionalmente, dallo status di neutralità discendono obblighi di astensione, ovvero di non partecipare al conflitto armato, e di imparzialità, ovvero di trattare in modo uguale le parti del conflitto. Alla neutralità sono dedicate la V e dalla XIII Convenzione dell’Aia del 1907; l’Italia, che le ha solo firmate, non ne è parte, ma si ritiene che esse codifichino - almeno in alcuni aspetti - il diritto internazionale consuetudinario (Threat of Use of Nuclear Weapons). Il divieto di fornitura di materiale bellico alle parti belligeranti è considerato uno dei corollari della neutralità (XIII Convenzione dell’Aia, art. 6). L’invio di armi all’Ucraina costituisce anche una violazione degli obblighi in materia di neutralità. E ancora, nella situazione ucraina non c'e' stato alcun intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Uno Stato aggressore potrebbe adottare contromisure nei confronti degli Stati che inviino forniture militari in violazione della neutralità. A tutt'oggi nessuno Stato ha invocato la legittima difesa collettiva come motivazione dell’invio di armi all’Ucraina (la NATO ha qualificato come difesa collettiva solo le misure di deterrenza poste in essere nel territorio dei propri membri in seguito alla cosiddetta “invasione russa”). La legittima difesa collettiva, per contro, è stata invocata dalla Russia come giustificazione di un intervento «in difesa» delle repubbliche separatiste del Donbass.

La violazione delle norme sulla neutralità può invece essere giustificata a titolo di contromisura collettiva in risposta a una violazione di una norma cogente di diritto internazionale. Il punto è notoriamente controverso: la Commissione del diritto internazionale, negli Articoli sulla responsabilità degli Stati del 2001, non ha preso posizione sul punto e ha formulato una disposizione (art. 54: «This chapter does not prejudice the right of any State, entitled under article 48, paragraph 1, to invoke the responsibility of another State, to take lawful measures against that State (…)») destinata a lasciare «the resolution of the matter to further development of international law» (Commentaries, p. 139).

Il diritto internazionale consente in linea generale, l’invio di armamenti a un Paese vittima di aggressione, ma cio' non significa che qualsiasi invio di armi sia legittimo. L’Italia è infatti vincolata al Trattato sul commercio delle armi, che si applica, a dispetto del nome, a qualsiasi trasferimento di armi anche di natura non commerciale. Le forniture italiane rientrano pressoché interamente nel suo ambito di applicazione, definito agli articoli 2 (che elenca, tra le altre cose « missili e lanciatori di missili» e « armi leggere e di piccolo calibro») e 3 (riferito alle munizioni). Il Trattato prevede, innanzitutto, dei casi di divieto assoluto di esportazione (art. 6). Di particolare rilevanza è quello previsto al comma 3, che vieta ogni trasferimento « qualora al momento dell’autorizzazione [lo Stato] sia a conoscenza del fatto che le armi o i beni possono essere utilizzati per la commissione di genocidi, crimini contro l’umanità, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949, attacchi diretti a obiettivi o soggetti civili protetti in quanto tali o altri crimini di guerra definiti come tali dagli accordi internazionali di cui lo Stato è parte». Al di fuori dei casi previsti dall’art. 6, l’art. 7 prevede l’obbligo di esercitare una procedura di valutazione («export assessment»), «in maniera obiettiva e non discriminatoria, e prendendo in considerazione ogni elemento pertinente», per verificare se esista un «serio rischio» che le armi destinate all’esportazione vengano usate per una serie di fini proibiti, i quali includono, tra gli altri, la commissione o facilitazione di gravi violazioni del diritto umanitario e dei diritti umani (comma 1) o atti di violenza di genere o contro donne e bambini (comma 4). Lo Stato deve anche valutare la possibilità di adottare misure di mitigazione del rischio (comma 2), e se anche queste ultime risulterebbero inefficaci ha l’obbligo di vietare l’esportazione (comma 3). I decreti governativi 14/2022 e 16/2022, eanati dal capo dello Stato Sergio Mattarella, sull’invio di armi all’Ucraina non contengono alcuna menzione del Trattato sul commercio delle armi (neppure nel Preambolo, che, tra le fonti internazionali, nomina esclusivamente gli articoli 3 e 4 del Trattato Nord Atlantico) e non è dato sapere se siano state effettuate le valutazioni richieste dal Trattato per assicurarsi che le armi italiane non vengano utilizzate per fini vietati. L'evidente omissione degli obblighi internazionali in materia di trasferimenti di attrezzature militari è oggi ancora più problematica considerando che il Trattato, nel frattempo, è entrato in vigore.

In sostanza, in termini di diritto internazionale: l’invio di armi all’Ucraina non rientra nell’ambito della legittima difesa collettiva ma è comunque una forma pienamente ammissibile di assistenza all’esercizio della legittima difesa individuale; la fornitura di armi si presenta, al più, come una violazione delle norme internazionali in materia di neutralità; l’invio del materiale bellico deve essere effettuato compatibilmente con le norme internazionali che regolano i trasferimenti di armamenti, in primis il Trattato sul commercio delle armi. Da questo consegue, sul piano del diritto costituzionale, e sempre a condizione che siano rispettati gli obblighi che regolano i trasferimenti di armi, che l’invio di armamenti all’Ucraina realizza appunto una violazione dell’articolo 11 Costituzione. o delle altre disposizioni costituzionali a contenuto internazionalistico.




Riferimenti:



















Gianni Lannes, IL GRANDE FRATELLO. STRATEGIE DEL DOMINIO, Draco edizioni, Modena, 2012.

GiannI lannes, ITALIA USA E GETTA, arianna editrice, Bologna, 2014.






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