Rothschild – La dinastia di banchieri che determina l’economia globale

di Paolo Sebastiani

I Rothschild sono i padroni del mondo. Da oltre duecento anni. Che ci piaccia o meno. Correva l’anno 1744 quando, in un’anonima casetta del ghetto ebraico di Francoforte, nasceva Meyer Amschel Rothschild, discendente da un’antica stirpe di rabbini che esercitava l’attività di cambiavalute. Sin da giovanissimo, grazie alla sua conoscenza delle monete antiche, divenne consulente e fornitore di importanti collezionisti. La sua proverbiale abilità nel trattare il denaro gli permise di stringere forti legami con le più facoltose famiglie del tempo, prima tra tutte quella dei Montefiore. A rafforzare l’unione con gli ebrei londinesi emigrati a Livorno fu il matrimonio contratto da Henriette, una delle figlie di Meyer Amschel, con Abraham Montefiore. Un’unione che diede il via a un imponente sodalizio finanziario tra i Rothschild e i Montefiore, a cominciare dalla compagnia di assicurazione Alliance (oggi divenuta una delle maggiori multinazionali del mondo), che i due fondarono nel 1824.


L’intuizione geniale del capostipite, lasciata poi in eredità ai cinque figli, consisteva nel non prestare soldi solo a commercianti e nobili, ma nel puntare sulle teste coronate. I re e gli imperatori, come gli attuali governi, non contavano nulla senza risorse finanziarie, Amschel Meyer questo lo aveva ben capito. Così come aveva compreso che il prestito a un re poteva contare su di una garanzia che nessun altro debitore avrebbe mai potuto fornire: l’imposizione fiscale su milioni di sudditi. In questo modo i re consegnavano alla famiglia Rotschild la gestione del loro stesso Stato. Venerato come un nume tutelare, papà Amschel, scolpì nelle menti dei suoi rampolli una laconica frase che da due secoli guida i discendenti: “Permettetemi di emettere e controllare la moneta di una nazione e non mi importa chi fa le sue leggi”.

Alla fine dell’Ottocento la famiglia di banchieri era presente – nelle sue varie diramazioni – in Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Italia. Nella penisola da poco riunificata il senatore Siotto Pintor, durante una accesa discussione parlamentare, proferì queste parole: “Il malcontento è grave, un senso di malessere si diffonde in tutte le classi della società. Le sorgenti della ricchezza vanno a disseccarsi. Noi facciamo il lavoro di Tantalo o di Penelope. Il signor Rothschild, re del milione, è, finanziariamente parlando, re dell’Italia”. La belle époque, poi, fu particolarmente dolce per la dinastia dei banchieri, nel 1913 con il Federal Reserve Act nacque la banca centrale degli Stati Uniti d’America. Una banca privata, i nomi dei cui azionisti devono rimanere segreti per espressa previsione dell’atto costitutivo, con sede amministrativa a Washington DC e sede legale a Porto Rico. Dopo cento anni, nei quali il segreto è rimasto ben custodito, sono saltati fuori i nomi, per un terzo la Federal Reserve è dei Rothschild. Nemmeno le due guerre mondiali scalfirono l’impero economico dei camaleontici banchieri, abituati a direzionare le vele degli affari dove tira il vento della politica. Un connubio ben collaudato quello tra finanza e politica. Una garanzia per entrambi specialmente se il politico di turno è una creazione dei finanzieri.

La Francia in tal senso fa scuola, oggi come allora. Siamo negli anni Cinquanta quando Guy de Rotschild punta su un rampante insegnante di letteratura francese, tale Georges Pompidou, decidendo di fargli fare carriera, fino a farlo diventare direttore generale della Banque de Rotschild. Poi, non contento, lo raccomanda direttamente a Charles de Gaulle, che lo prende sotto la propria ala. Quando, nel 1959, il vecchio generale divenne Presidente della Repubblica, Pompidou cominciò la sua irrefrenabile ascesa verso la presidenza del Consiglio, che ottenne nell’aprile 1962. Nel 1969 l’uomo dei Rothschild sarebbe diventato Presidente della Repubblica francese. Un successo dovuto in gran parte a Guy, il cui sostegno Pompidou non dimenticò mai. Probabilmente nemmeno il neo Presidente Emmanuel Macron ha dimenticato a chi deve il ruolo che da pochi giorni ricopre. Nel 2008, infatti, viene assunto presso la Rothschild & Cie Banque. Il 2010 segna una svolta definitiva grazie alla promozione ad associato all’interno della banca d’affari ed all’affidamento della responsabilità di una delle più importanti negoziazioni di tutti i tempi: quella tra Nestlé e Pfizer. Transazione valutata più di 11,9 miliardi di euro. Per la recente campagna elettorale sembrerebbe che il trio Rothschild/Soros/Goldman-Sachs abbia sostenuto Emmanuel con un solido aiuto di cinque milioni e mezzo di euro. Negli anni Novanta la recessione internazionale aveva messo in ginocchio le più importanti imprese, i Rotschild riuscirono ancora una volta a beneficiarne attraverso, le loro consulenze (pagate con compensi da iperbolici) per le ristrutturazioni di aziende fallite. Con il loro intervento finanziario salvarono, tra le altre, la catena di alberghi fiabeschi Taj Mahal di proprietà di Donald Trump, probabilmente anche The Donald – come Macron – non dimenticherà di essere in debito.

Il capostipite della dinastia ha lasciato un insegnamento di cui gli oltre cento discendenti hanno fatto tesoro, emettere e controllare la moneta significa controllare una nazione, grazie alla fondazione della Banca Centrale europea – che ironia della sorte ha sede a Francoforte a due passi dalla casa natia di Meyer Amschel – il controllo si è esteso ad un intero continente. La BCE, infatti, è una banca privata (come lo sono tutte le banche centrali nazionali del mondo escluse nove) ed è formata dalle 28 banche centrali nazionali degli stati aderenti all’Unione europea. Le banche nazionali sono degli azionisti. Banca d’Italia, ad esempio, vede come principale detentore dei titoli il gruppo Intesa Sanpaolo, controllato dalla Barclays, feudo dei Rothschild. Lo stesso che si ripete per tutte le banche nazionali che formano la Banca Centrale Europea, un ramo della famiglia Rotschild è azionista di maggioranza.

Oggi al timone della dinastia c’è il barone Jacob Rothschild che ha ispirato il personaggio del cinico e crudele Mr. Burns de I Simpson. Siamo in ottime mani direi…

Paolo Sebastiani, avvocato (nessuno è perfetto!), accanito bibliofilo, ama la Storia che approfondisce con Winston, il suo bulldog inglese. Conduce Elzeviro, in onda tutti i lunedì alle 21 su TVR, collabora con i quotidiani La Verità e Il Giornale OFF.

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